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Idillio primaverile
(1896-1901),olio su tela, diametro cm 99,5,collezione privata
La mostra di Volpedo ha come fulcro centrale un capolavoro “ritrovato” di Pellizza, intessuto da sofisticati rapporti di luce, controluce e di sottili iridescenze: si tratta di Idillio primaverile, un’opera pensata e iniziata dal pittore nel 1896. Scrivendo all’amico Casciaro infatti, il 3 ottobre 1896, dichiarava: “Tengo quattro lavori abbozzati di tre già ti ho parlato l’ultimo abbozzato da pochi giorni è un Idillio che se potrò terminare la prossima primavera manderò alla esposizione veneziana”: Pellizza individuava nell’assopirsi autunnale della natura il momento primo, ispiratore dell’opera che avrebbe poi trovato, nella rigenerazione primaverile, armonie e luci da tradurre sulla tela con un divisionismo “meno appariscente” e più raffinato di quello praticato in precedenza in opere come Sul Fienile e , che lo avevano a lungo impegnato nel riequilibrio delle dominanti intonazioni azzurrate e bluastre.
La tela che nei progetti di Pellizza veniva intesa come la prima di una serie dedicata a sviluppare il tema degli Idilli, occupò il pittore soprattutto nel 1899 ma fu completata solo nel 1901, quando il progettato ciclo aveva lasciato il posto a un più complesso programma di sequenze pittoriche destinate a celebrare l’Amore, nel cui ambito la tela rientrava costituendone il primo pannello, ma anche la Vita, il Lavoro, la Maternità, la Morte. Per queste opere il pittore aveva prefigurato degli schemi compositivi generali che alternavano forme in tondo, in quadrato, in rettangolo, pensando a possibili commistioni plurime di temi e soggetti. Un progetto complesso che l’aveva obbligato a impostare contemporaneamente più tele che necessitavano di tempi lunghi di esecuzione e che solo in alcuni casi giunsero a compiuta realizzazione.
Idillio primaverile sebbene completato nel 1901 non uscì dallo studio di Volpedo fino al 1903 quando il pittore lo inviò alla quinta Biennale di Venezia; con quest’opera egli intendeva sottolineare la sua qualità di pittore simbolista, confermando le tendenze esplicitate alla III biennale del 1899 con l’Autoritratto (ora Firenze, Galleria degli Uffizi), ma senza più insistere sul valore simbolico di specifici oggetti, e puntando invece su una evocazione di significati capaci di trascendere la materialità della natura soprattutto attraverso il concatenarsi di ritmi compositivi, di armonie cromatiche e di suggestioni luminose e iridescenti. Sembrava una svolta anche rispetto a Il Quarto Stato che aveva suscitato discussioni vivaci alla Prima quadriennale di Torino del 1902; ma, di fatto, l’Idillio inviato a Venezia non era poi così lontano dall’altra opera che il pittore aveva mandato a Torino, il bel Tramonto, ora più noto col titolo Il roveto (Piacenza, Galleria Ricci Oddi): un paesaggio puro in un pulsante controluce che sembra evocare la vitalità e la forza rigeneratrice della natura attraverso una efficace ricerca di effetti luminosi di controluce e di ombre trasparenti, una visione frutto della profonda esigenza di recuperare il legame organico e organicistico con la natura che era uno dei modi in cui si esplicitava il simbolismo internazionale.
Proprio la valenza simbolista e decorativa di Idillio primaverile spinsero Pellizza a inviare l’opera l’anno successivo al Glaspalast di Monaco – in ambienti transalpini che, da Bocklin a von Marées a Hildebrandt, non erano stati insensibili alla lezione simbolista di Puvis de Chavannes -, e successivamente nel 1905 ad Angers insieme ad una sequenza di bei paesaggi ma anche con Lo specchio della vita (Torino GAM) e Processione (Milano Museo della Scienza e della Tecnologia), e poi a Roma, per l’annuale Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti. nel 1906. Qui la tela fu venduta, col coinvolgimento diretto del pittore – allora a Roma per qualche tempo e impegnato ad elaborare alcuni paesaggi a Villa Borghese -, ad un mercante di Amsterdam e, dall’Olanda, ad una data imprecisata passò nel Regno Unito e prese dimora in una collezione inglese. La vendita fece perdere le tracce del quadro ai critici e ai collezionisti italiani che, tuttavia, continuavano ad avere familiarità con l’immagine del dipinto attraverso una seconda analoga opera che fu esposta, col titolo Idillio campestre nei prati della pieve di Volpedo alla “Mostra individuale di G. Pellizza da Volpedo” presso la Galleria Pesaro di Milano nei primi due mesi del 1920, entrando allora nelle Civiche Raccolte d’arte di Milano. Fu probabilmente Vittore Grubicy che, scrivendo a Guido Marangoni, sovrintendente del Castello Sforzesco, nel 1919, si riferì al quadro indicandolo come “Il giritondo”, a suggerire la più sintetica intitolazione che poi rimase comune dai primi anni Venti anche negli inventari della Galleria. La ricomparsa di Idillio primaverile sul mercato internazionale d’arte nel 1980 ha riportato improvvisamente l’attenzione su questa singolare doppia opera pellizziana, ponendo vari interrogativi sulla natura e sulle motivazioni dell’esecuzione del Girotondo.
[Testo di Aurora Scotti, tratto da Luce, controluce, iridescenze. Pellizza e gli amici divisionisti, Tortona-Volpedo 2007, catalogo della mostra, 2 settembre – 21 ottobre 2007]
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