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Il sole o Il sole nascente
(1904)
olio su tela, cm 155×155
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Scrivendo all’amico Occhini nell’aprile 1903 Pellizza delineò per la prima volta il tema di questo suo quadro, precisando di voler scegliere “soggetti eterni”, e quindi di voler trattare “la bella natura che assorbe l’uomo e lo annienta per campeggiare essa stessa sfolgorando la sua immortale bellezza… Tu devi già aver indovinato il mio tema…” (Minutari 1903, f. 6, parzialmente trascritto in Catalogo dei Manoscritti di Giuseppe Pellizza provenienti dalla donazione eredi Pellizza, Tortona 1974, p. 105). [pullquote-left]“la bella natura che assorbe l’uomo e lo annienta per campeggiare essa stessa sfolgorando la sua immortale bellezza… Tu devi già aver indovinato il mio tema…”[/pullquote-left]
L’intenso desiderio di tradurre sulla tela gli spettacoli più emozionanti della natura lo spingeva a salire, ancora in piena notte, le colline circostanti e raggiungere oltre Monleale la località Cenelli in regione Brada, per attendere, pronto davanti al suo cavalletto, l’apparire sfolgorante del sole. Come scriveva a Matteo Olivero egli cercava di rappresentare la natura nei suo spettacoli più grandiosi, mirando, più che a trascenderla, a coglierne l’essenza con estremo rigore scientifico e filosofico. Il rigore scientifico derivava dalla volontà di tradurre la luce con la somma dei colori che la compongono secondo le analisi della scienza fisica: la pittura divisionista aveva posto come uno dei propri cardini di interesse e di ricerca proprio il raggiungimento della massima luminosità e Pellizza, apostolo di questa tecnica da più di dieci anni, si sentiva pronto per usarla con estrema sicurezza e padronanza. Il rigore filosofico era conseguente alla disamina dei problemi legati all’esistenza che Pellizza aveva sempre compiuto in concomitanza con la sua attività pittorica e che lo aveva spinto a passare dalla riproduzione esteriore del vero alla ricerca dei valori primari dell’esistenza fisica e sociale. Il momento generante della vita, il passaggio dalle tenebre alla luce era il punto nodale di tutto il mondo naturale e la pittura dopo aver colto il manifestarsi della luce negli oggetti doveva cogliere proprio quest’attimo generatore di vita.
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Il sole così appare sulla linea dei colli colla sua immagine sferica che coincide col massimo bianco e da cui irraggia una fitta sequenza di tratti che vanno progressivamente allungandosi verso i bordi della tela e che passano dal giallo all’arancio, al viola, al verde. Il bagliore non elimina ma riassorbe in sé e vela la percezione della natura circostante, dell’ampia valle in primo piano con alberi e cascinali di cui si intravedono le forme essenziali. La critica apprezzò in genere l’opera nel momento in cui fu esposta a Milano alla Mostra celebrativa del traforo del Sempione del 1906, tenutasi negli spazi del Castello Sforzesco, anche se non tutti colsero il valore astraente e simbolico della visione pellizziana. Così ad esempio il critico del giornale bolognese “L’Avvenire d’Italia”, Endymion, sottolineò che Pellizza aveva vinto felicemente col divisionismo una difficoltà pittorica, prima ritenuta insuperabile, quella di dipingere il disco solare, ma per concludere che, sebbene l’illusione fosse grande, il quadro rimaneva di uno sterile verismo. Ojetti invece dalle colonne del “Corriere della Sera” sottolineava che Pellizza “raggiunge, col suo diligente divisionismo un effetto ottico davvero stupefacente. Ma questo effetto non basterebbe a giustificare l’ammirazione per l’opera sua se a quell’abbagliamento egli non aggiungesse nei prati in ombra, sotto i raggi obliqui del sole cadente (sic!), uno studio così accurato dei “valori” che tutto nel suo quadro risulta vivo e ne emana quasi una dolce mestizia soffusa sul mondo con quel tremulo velo di luce”; l’apprezzamento quindi si estendeva alla lettura stilistica di tutta l’opera nei suoi valori e rapporti luminosi, che ancor oggi noi apprezziamo, ma che dovevano essere difficili da leggere anche per alcuni pur attenti contemporanei. Lo stesso Pantini così rimarcava che il taglio del quadro era modesto anche se aveva mostrato di apprezzare il sole nascente che gli appariva un vero “barbaglio, che a lungo riguardare fa veramente battere gli occhi”. Analogamente P. De Luca notava l’efficacissimo sole che spunta e che “lascia come il vero quasi l’impressione nella pupilla”. Ben pochi cercarono di andare oltre il valore percettivo dell’opera, sia pure non ponendo chiaramente la questione del simbolismo.
Lo fece di sfuggita Primo Levi “l’Italico” (1853-1917) che annotò sulla “Tribuna”: “Bisogna infine volgersi a Pellizza da Volpedo per sentirsi illuminati da un sole che sembri davvero quello dell’avvenire”: con la frase coglieva, riferendosi ad uno degli elementi della iconografia legata ai partiti operai e socialisti, quel profondo senso di rigenerazione e di rinascita di tutte le cose che Pellizza aveva avuto di mira nel riprodurre il momento di massimo fulgore della natura, facendo del sole nascente, dell’alba di un nuovo giorno, anche l’alba di un nuovo secolo che avrebbe potuto conoscere più a fondo i misteri e l’essenza dell’universo. Il motivo naturalistico del sole nascente incarna così profondamente la volontà simbolista di Pellizza.
Scrivendo ad Olivero nell’ottobre 1904 Pellizza infatti sottolineava: “I lavori che tengo nello studio sono di due categorie di concetto e di paesaggio – i primi “Il ponte”, “Sole nascente”, “L’amore nella vita” sono “Glorificazioni” in quanto voglio presentare le cose rappresentate nel loro essere più solenne più tipico e migliore”, [pullquote-right] “I lavori che tengo nello studio sono di due categorie di concetto e di paesaggio – i primi “Il ponte”, “Sole nascente”, “L’amore nella vita” sono “Glorificazioni” in quanto voglio presentare le cose rappresentate nel loro essere più solenne più tipico e migliore”[/pullquote-right] differenziando così nettamente anche Il sole da una riproduzione materiale del vero, da un paesaggio puro. All’esposizione milanese del 1906 l’opera fu acquistata dal Ministero per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al prezzo di lire 2500. Era il primo acquisto per un pubblico museo di opere di Pellizza: Milano rendeva tardivamente giustizia al pittore che non immeritevolmente aveva incominciato a sperare in un acquisto statale fin dal 1894 alle Esposizioni riunite del Castello Sforzesco, con Sul fienile.
Aurora Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, scheda 1188 (testo adattato)
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